Dal lago di Rodari alla sua internazionalità
OTTOBRE 2020
Venerdi 16.10
“Sulle tracce di Gianni Rodari”
ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA
Hermann-Schmid-Straße 8, 80336 Monaco di Baviera
Ore 19:30
Evento in presenza, con contributi video di ospiti italiani.
Antonio Pellegrino di radio BR2 apre la serata, presentando Gianni Rodari in ambito letterario e sociale.
Laura Pariani (finalista premio Campiello 2019) e Nicola Fantini, scrittori profondamente legati al Lago d’Orta e a Gianni Rodari, iniziano il viaggio nell’affascinante e fantasioso mondo dello scrittore omegnese. L’attrice di cabaret Martina Ottmann e l'attore Ronaro Lodron Zuin leggono brani tratti da una delle sue opere più significative: C’era due volte il barone Lamberto (in versione italiana e tedesca).
Contributi video: Laura Pariani, Nicola Fantini, Mauro Maulini e il Sindaco di Orta San Giulio Giorgio Angeleri. Il Lago di Rodari di InterLinea.
Peter Hilkes presenta l'importanza di Gianni Rodari nel mondo e presenta il video sulla internazionalità di Gianni Rodari, che vede protagonisti oltre 70 stranieri impegnati a leggere un brano di Rodari in 34 lingue diverse. Dal vivo, ascolteremo Aida dalla Bosnia, Agnieszka dalla Polonia, Carlos dal Peru' e Aris dalla Grecia.
Grazie della partecipazione a: Martina Ottmann e Ronaro Lodrin Zuin (attori). Antonio Pellegrino e Peter Hilkes (moderatori). Daniela Di Benedetto (presidente Comites di Monaco) e Norma Mattarei (Caritas - Akademie der Nationen Monaco).
Ingresso gratuito.
Nr. 25 posti limitati (a secondo delle vigenti normative).
Partecipazione con prenotazione obbligatoria: info@annaconti.com
Grazie a Cristina Martin per il video della serata
I protagonisti
Antonio Pellegrino
Anna Conti
Norma Mattarei
Daniela Di Benedetto
Peter Hilkes
Ronaro Lodron Zuin
Martina Ottmann
Aida Omerovic
Agnieszka Spizewska
Aris Madlemis
Carlos E. Quispe Alliende
Antonio Pellegrino e Anna Conti
Antonio Pellegrino
Pellegrino presenta Pariani
Anna Conti
Daniela Di Benedetto
Norma Mattarei
Martina Ottmann
Ronaro Lodron Zuin
Peter Hilkes
Il lago di Rodari
Mauro Maulini per l'opera "C'era due volte il barone Lamberto"
Laura Pariani legge dal "C'era due volte il barone Lamberto"
Giorgio Angeleri, sindaco di Orta San Giulio
Laura Pariani
Nicola Fantini
Mi chiamo Laura Pariani, sono scrittrice di narrativa.
Ho incontrato per la prima volta i libri di Rodari negli anni ’70, quando tenevo laboratori di drammatizzazione con bambini della scuola materna e della scuola elementare. Le favole erano lo spunto del mio lavoro con i burattini e la voglia di aiutare i bambini a costruirsi da soli le loro storie mi ha portato a leggere gli appunti di un’amica che aveva frequentato a Reggio Emilia una frase illuminante che Rodari diceva di aver incontrato leggendo i Frammenti di Novalis: “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. Essendo una ragazza del Sessantotto, ho sempre creduto fermamente nella necessità che l’immaginazione avesse un ruolo fondamentale nell’istruzione e nella vita e credo ancora fermamente nel potere liberatorio del meraviglioso per cui i pollicini della vita ottengono alla fine spettacolari risarcimenti... Come ben spiega Rodari nella Grammatica della fantasia, le fiabe aprono la mente, proprio perché apparentemente non servono a nulla: come la poesia e la musica, come il teatro o lo sport (se non diventano un affare).
Il secondo motivo del mio incontro con Rodari è stato più personale: negli anni ’70 avevo un bambino piccolo a cui raccontavo storie. Gli ho letto con enorme piacere C’era due volte il barone Lamberto e, quando capitava la domenica di fare una passeggiata qui al lago d’Orta, gli mostravo i luoghi della storia: l’isola, il palazzo del barone, la torre di Buccione, i pontili del barcaiolo Caronte.
Il terzo motivo del mio incontro con Rodari deriva dal fatto che da 25 anni abito proprio sulle rive di quel lago d’Orta, nell’Alto Piemonte, dove Rodari ha ambientato C’era due volte il Barone Lamberto. Si tratta di un lago speciale, che ha tutte le carte in regola per far da sfondo a una fiaba: con un santo che ama i giochi di parole, un fiumicello emissario che fa di testa sua, una grotta misteriosa - il “Büs d’l’Orchéra” – dove sta rintanata un’orca, madre di tutte le creature delle tenebre. Ricordo che da bambina, durante una visita alla chiesa dell’isola che sta in mezzo al lago, qualcuno mi mostrò una specie di grande anello d’osso, spiegandomi che era la vertebra della spina dorsale della mitica orchessa. Da lì ho cominciato a covare dentro di me l’idea del Büs d’l’Orchéra come anticamera di un mostruoso Averno, a immagine e somiglianza dell’Inferno di Dante: a forma di grande imbuto che, un girone dopo l’altro, si inabissa verso il fondo del lago.
Il quarto motivo parte proprio da questo cortocircuito tra la suggestione del lago di Rodari e la fantasia dell’Inferno dantesco. Nel 2011 il Ravenna festival mi chiese una favola musicale: una grossa produzione con sette musicisti e un coro di 49 voci bianche. Fu il Büs d'l'Orchéra Tour, in cui un Dante Alighieri, avido di conoscere i vizi della modernità e un “virgilio” Rodari scendono nell’abisso del büs d’l’Orchéra dove i cattivi del giorno d’oggi subiscono un moderno contrappasso.
Testimonianza di Laura Pariani.
Legge Antonio Pellegrino.
Mi chiamo Nicola Fantini e sono uno scrittore di narrativa.
Sono nato a Omegna, la stessa città che ha dato i natali a Gianni Rodari.
Il mio primo incontro con Gianni Rodari è avvenuto quando frequentavo la scuola elementare di Omegna.
Immaginatevi una mattina come tante dell’anno scolastico 1970-71, nella classe 3B: noi bambini col grembiule, bianco per per le femmine, blu per i maschi, tutti col colletto inamidato e il nastro verde.
La maestra era uscita dalla classe e al suo rientro era accompagnata da due persone, una delle quali era il direttore, la qual cosa non faceva presagire niente di buono. Nella classe calò il silenzio e la maestra, con un tono pieno di orgoglio ma nello stesso tempo velato da una certa soggezione, ci presentò un signore dall’espressione simpatica.
“Bambini” annunciò la maestra, “questa mattina è venuto a trovarci uno scrittore che si chiama Gianni Rodari!”
Il nuovo arrivato cominciò a farci domande e dalle nostre risposte prese a imbastire una favola.
Ricordo con inconsueta chiarezza quell’incontro, quanto fu divertente e appassionante, tanto che quasi cinquant’anni dopo posso recitare a memoria alcune delle filastrocche che ci lesse quel giorno. Per esempio:
Robin, Robin il grassone
mangiava più di ottanta persone:
mangiò una mucca, mangiò un vitello;
mangiò il macellaio con tutto il macello,
mangiò la chiesa col cappellano,
il campanile col sacrestano,
e mucca e vitello, macellaio e macello,
e chiesa e curato quand’ebbe mangiato
così si lagnò: “Che fame che ho!”.
Il mio secondo incontro con Gianni Rodari è avvenuto qualche anno dopo, ai tempi in cui frequentavo le medie.
L’occasione fu l’inaugurazione della nuova sede della Biblioteca comunale, una bella villa che stava a pochissima distanza da casa mia. Rodari tenne un discorso in cui parlò dell’importanza del leggere e del significato che aveva la presenza di una biblioteca in una cittadina come la nostra.
“…Che cosa possiamo trovare nei libri che valga la pena di esser cercato, che non possa esser trovato altrove, e che, se mancasse, renderebbe più povero un mondo senza libri? Innanzitutto, io credo, il nostro stesso passato, cioè il nostro spessore, le radici della nostra umanità […] Che ce ne rendiamo conto oppure no, noi SIAMO quei libri: SIAMO tutto ciò che è venuto prima di noi ed ha contribuito a modellare la nostra esistenza. SIAMO il Vangelo, SIAMO i filosofi classici, SIAMO Dante e Galileo. […] Ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo, facciamo i conti con Cartesio e con Hegel, con Vico e con Lenin.
Leggere significa allora acquistare consapevolezza di sè stessi, vivere con più pienezza la vita della nostra mente. Nei libri, per questo, noi troviamo una fonte di esperienze vitali che non sopporta surrogati. La parola letta non è uno spettacolo che può esser seguito distrattamente, parlando d’altro. Leggere è una attività che ci impegna, che mobilita le nostre risorse interne, che esige il nostro giudizio intimo. Leggere è razionalizzare, criticare, costruire…”
In seguito ho incontrato Rodari nei libri e sono sempre stato orgoglioso del fatto che lui avesse definito il Cusio come un lago speciale: con un fiumicello che “fa di testa sua”, non solo perché, sbeffeggiando la regola grammaticale, vuole l’articolo femminile - la Nigoglia - ma perché – unico tra tutti gli emissari dei laghi alpini – invece di uscire a sud per andare verso il mare, esce dalla parte settentrionale dirigendosi decisamente verso le Alpi. Come dice nel finale di C’era due volte il barone Lamberto:
“Gli abitanti di Omegna sono molto orgogliosi di questo fiume ribelle e vi hanno pescato un motto che dice, in dialetto:
La Nigoja la va in su
E la legg la fouma nu
E in italiano:
La Nigoglia va all’insù
E la legge la facciamo noi.
Mi sembra detto molto bene: sempre pensare con la propria testa…”
C'era due volte il barone Lamberto
narrazione a cura di Ronaro Lodron - Zuin e lettura in tedesco a cura di Martina Ottmann
C'era due volte il barone Lamberto (riassunto in italiano letto da Ronaro Lodron-Zuin)
RIASSUNTO “C’ERA UNA VOLTA IL BARONE LAMBERTO”
NUMERO UNO
Sull’ isola di San Giulio vive il barone Lamberto, un signore molto vecchio di novantatre anni, assai ricco perché possiede ventiquattro banche nel mondo ma malato di altrettante malattie di cui, il suo maggiordomo Anselmo, tiene annotazione, in ordine alfabetico, in un taccuino e affiancate dalle medicine che deve prendere e dai cibi che può mangiare. Lamberto possiede molte ville tra cui una in Egitto. Anche quell’inverno, decidono di andare a trascorrervi un po’ di tempo, ma dopo aver parlato con un santone arabo, prendono il primo aereo per l’Italia e, ritornati alla villa di San Giulio, iniziano strani esperimenti. Vengono assunte e retribuite sei persone che, giorno e notte, ripetono il nome del barone, non sapendo che, in ogni angolo della soffitta in cui lavorano sono presenti dei microfoni, cui corrispondono degli altoparlanti invisibili all’interno della villa. Anselmo, per assicurarsi che vada tutto bene, ogni mezz’ora controlla che il nome del barone sia pronunciato correttamente.
NUMERO DUE
La signora Zanzi, come la signora Merlo, mentre pronunciano il nome Lamberto, lavorano a maglia. La signora Delfina sostiene di non essere convinta del lavoro che stanno svolgendo mentre il signor Armando afferma che per lui è facilissimo e che non ci vede niente di misterioso in quanto Lamberto li retribuisce per ciò che devono pronunciare. Mentre è il turno della signora Merlo, perennemente preoccupata di sbagliare avendo dei cugini che si chiamano Umberto e Alberto, in un’altra stanza della soffitta, stanno riposando il signor Bergamini e il signor Giacomini. Quando è il turno di quest’ultimo che, come al solito, sta pescando nel lago d’Orta, lascia la canna fissata alla finestra pregando il suo compagno di osservarla. A differenza di Lamberto, a cui i genitori hanno insegnato che non si origlia, Anselmo ascolta tutte le conversazioni della soffitta apprendendo molte cose che prima ignorava. Il barone è convinto che quelle voci gli diano un senso di sicurezza; sa che i sei ripetono il suo nome perché vengono retribuiti per farlo, ma alcune volte lo pronunciano con tanta grazia che non può fare a meno di pensare quanto gli vogliano bene.
NUMERO TRE
Una mattina Lamberto si guarda allo specchio e nota un capello biondo e riccio. Chiama Anselmo dicendogli di correre a vedere; quest’ultimo, osservando con la lente la cute di Lamberto, vede che stanno spuntando altri capelli, riscontra che le rughe stanno scomparendo pian piano e che gli occhi, fino a qualche giorno prima coperti dalle palpebre, appaiono azzurri. Ogni giorno al barone cresce un dente nuovo e anche la dentiera, assieme alle medicine e ai bastoni dai pomi d’oro, finisce nella spazzatura. Da quarantadue anni che Lamberto non suona, si dirige verso il pianoforte e intona un pezzo di Beethoven; da vecchio decrepito si è trasformato in giovanotto sportivo tanto che ogni mattina percorre l’isola a nuoto. Successivamente afferma che il vecchio arabo conosciuto in Egitto aveva ragione sul proverbio “l’uomo il cui nome è pronunciato resta in vita”: infatti non potrà morire mai.
NUMERO QUATTRO
A Roma vive Ottavio, il nipote di Lamberto. Essendo economicamente rovinato, spera che lo zio muoia per poter ereditare il suo patrimonio. Decide di andarlo a trovare e, dopo cinque ore di auto, bussa al portone della villa. Quando Lamberto gli apre, per la sorpresa di vederlo così in forma, sviene. Deve quindi trovare un sistema per poter liberarsi della sua presenza; dopo cena pianifica di ucciderlo tagliandogli la gola con il trinciante utilizzato da Anselmo in cucina. Pertanto, durante la notte, penetra in camera dello zio e lo colpisce a morte; l’indomani, il barone è più vivo che mai. La notte successiva, gli spara sette colpi al cuore con una carabina automatica ma anche questo tentativo fallisce perché il giorno dopo è vispo come un pesce. Riflettendo sul da farsi, Ottavio capita in sala musica e sente così delle voci pronunciare Lamberto. Incuriosito, riesce a trovare il congegno da cui esce il nome del barone e che questo è collegato, con un filo, alla soffitta. Conosce così Delfina che gli spiega cosa stanno svolgendo lei e le altre persone lì presenti. Ottavio capisce che il segreto del ringiovanimento dello zio sta lì. Scendendo dalla soffitta, mente ad Anselmo dicendogli di doversi recare a Orta. Qui si fa visitare da un medico affermando di non riuscire a dormire nell’intento di farsi prescrivere dei sonniferi da somministrare ai sei della soffitta di modo che non riescano più a pronunciare il nome dello zio per poter verificare la sua teoria. Ritornando all’isola, vede che tutti la stanno abbandonando perché sono arrivati i banditi ma, non intravedendo lo zio e gli altri della soffitta, sbarca ugualmente sull’isola dove viene accolto da un uomo mascherato che gli dice che facendo parte della famiglia può rimanere.
NUMERO CINQUE
L’isola di San Giulio, occupata dai banditi, ha richiamato una gran folla di curiosi, che chiedono a Duilio, come si sono svolti i fatti. Quest’ultimo ha raccontato gli avvenimenti almeno una ventina di volte e, a turno, gli intervenuti fanno mille congetture sull’invasione. Chi dice pubblicità, chi dice il sindaco, chi dice un’azione di Lamberto per disincentivare il turismo. Così iniziano a spettegolare sui sei domestici che il barone paga ma che non escono mai dalla soffitta. Poi, riprendendo il filo delle teorie, che debbano fare saltare l’isola a causa delle cartoline illustrate che non devono più circolare o addirittura un’invasione da parte dei marziani. Fino a quando il maggiordomo Anselmo viene mandato, come ambasciatore, a Orta per parlare con il sindaco riferendo che i banditi sono i ventiquattro L, in quanto ognuno di loro si chiama Lamberto e che devono essere contattati, entro le prossime quarantotto ore, tutti i direttori generali delle banche di proprietà del barone. Duilio dovrà rifornire giornalmente l’isola a cui è vietato avvicinarsi. Se questi ordini non saranno rispettati, Orta sarà bombardata.
NUMERO SEI
I banditi hanno raggiunto l’isola, a gruppi, attraverso vari travestimenti e si sono riuniti nell’antica basilica, dove hanno studiato il loro piano. Hanno bussato alla villa di Lamberto con il volto coperto da una maschera e, mentre hanno inviato Anselmo a Orta per riferire al sindaco che il barone è stato fatto prigioniero e che per lasciare libera l’isola, vogliono un miliardo a testa per ogni banca di proprietà di quest’ultimo, verificano che oltre a maggiordomo e padrone, all’interno della villa, sono presenti altre sei persone in soffitta e Ottavio, appena rientrato da Orta con le tasche piene di sonnifero.
NUMERO SETTE
A Orta è spettacolo: i poliziotti controllano i banditi mentre i curiosi, i fotografi e la stampa, provenienti da ogni parte del mondo, osservano la polizia e il turismo segna il tutto esaurito. Ogni giorno Duilio tiene una conferenza stampa prima e dopo i rifornimenti rispondendo ad ogni sorta di domanda personale e riguardo a ciò che accade sull’isola. Al terzo giorno di assedio, ad Orta arriva il pullman coi direttori generali e i loro segretari che incontrano il Sindaco, il quale consegna loro un messaggio da parte di Lamberto nel quale richiede degli attrezzi ginnici per il sollevamento pesi e un poscritto dei banditi che vogliono ventiquattro miliardi in contanti uno per ogni banca del barone. Terminato l’incontro, raggiungono la villa di Miasino dalla quale, il più giovane dei segretari, sotto un forte temporale, parte per Milano per acquistare gli attrezzi che l’indomani mattina vengono consegnati a Duilio perché li trasporti sull’isola. Il maresciallo, sospettato dal contenuto dei pacchi, li fa aprire ed una volta verificato di cosa si tratti, chiede a chi servano e quanti anni abbia Lamberto. La notizia passa di bocca in bocca e dal barone che vuole fare sollevamento pesi, la storia diventa il barone che ha battuto il record del mondo di salto con l’asta.
NUMERO OTTO
I ventiquattro direttori di banca con rispettivi segretari, dal Palazzo della Comunità della Riviera conducono le trattative coi banditi. Per Duilio il lavoro è pesante perché deve fare da ambasciatore coi messaggi da e per l’isola. I banditi dicono che il riscatto deve essere pagato entro quarantott’ore; diversamente uccideranno il barone e lo spediranno loro a pezzetti. Per contro, i direttori non possono pagare se non con l’autorizzazione dello stesso. Lamberto, quindi, scrive un manoscritto in inglese nel quale invita i direttori al Prater di Vienna facendo però credere ai banditi di aver scritto di prelevare il denaro dalla sua banca di Vienna. I direttori, non credendo che sia opera di Lamberto, mandano la richiesta di un manoscritto in tedesco, nel quale il barone scrive di licenziare tutti gli impiegati che non sanno ballare il tango facendo credere ai banditi che “tango” sia una parola in codice per intendere miliardi. Anche in questo caso i direttori non credono che il manoscritto sia opera del barone; quindi chiedono una fotografia fresca di giornata, prova inequivocabile che Lamberto è vivo. I banditi acconsentono e la fotografia viene spedita, attraverso Duilio, ai direttori che, vedendo quanto sia giovane gridano subito al tradimento. Anche se qualche somiglianza con il barone la trovano, vogliono un’altra fotografia in cui il barone sia di profilo. I banditi acconsentono a questa richiesta inviando però anche l’orecchio destro e dicendo che se i soldi non saranno spediti, l’indomani taglieranno un secondo pezzo del corpo di Lamberto. Anche in questo caso i direttori continuano a credere che sia opera di un impostore sebbene il naso, di profilo, sembri proprio essere quello del barone. La notte non ha portato consiglio; così decidono di rimanere in balia degli eventi. I banditi, dopo il taglio della falange, con stupore, notano la ricrescita dell’orecchio destro sul corpo del barone. Spediscono il dito scrivendo che, se i soldi non perverranno, sarà tagliato anche un piede intero. I direttori sostengono che il dito appartenga ad un impostore ma non capiscono il motivo per il quale, costui, si debba far tagliare a pezzi al posto del barone. Pertanto rispediscono il dito al mittente chiedendo di vedere personalmente il barone nella speranza che non tagliano un altro pezzo. Duilio, mostra ai giornalisti la busta chiusa che rimane per tutti un mistero in quanto non si capisce cosa possa contenere.
NUMERO NOVE
Ottavio ha in tasca i sonniferi con i quali ha deciso di far addormentare i sei della soffitta ma non riesce mai nel suo intento perché c’è sempre un bandito o Anselmo che lo seguono ovunque vada. Anche lo zio richiede la presenza del nipote non potendo uscire sul lago; così lo obbliga a boxare sebbene Ottavio non ami questo sport per ragioni sentimentali. Perfezionando il suo piano, Ottavio, decide di far morire il barone dando la colpa ai banditi; l’occasione capita quando, sotto ordine del barone, Ottavio porta la zuppa ai sei della soffitta in quanto Anselmo deve continuare a giocare a scacchi con Lamberto. Ottavio mette nella zuppiera i sonniferi facendo conto di sistemare i tovaglioli ed entra in soffitta fregandosi le mani mentre li vede mangiare di gusto. Dopodichè scende per tranquillizzare Anselmo che, nel frattempo, è pervaso dal sospetto che Ottavio stia tramando qualcosa di brutto ai danni del barone. Giunto al piano di sotto, Lamberto e Anselmo giocano a tresette contro due banditi; le continue vittorie fanno venire sonno al barone che decide di andare a letto. Dopo un incubo in cui vede Ottavio che lo vuole uccidere, si sveglia di soprassalto cercando di chiamare Anselmo senza riuscirci e, pigiando il bottone degli altoparlanti non sente più pronunciare il suo nome. Non ha nemmeno il tempo di aver paura della morte che è già deceduto. Al mattino, Anselmo trova il corpo del barone privo di vita; rendendosi conto, suo malgrado, che dagli altoparlanti non proviene nessuna voce, sale in soffitta e prova a svegliare i sei ma sono addormentati da non sentire nemmeno le cannonate. Quando Ottavio viene informato che lo zio è morto, finge di piangere mentre i banditi, non avendo più ragione di rimanere sull’isola perché il barone da morto non vale più niente e Ottavio come erede, nel testamento, ha solo una barca a vela, devono trovare un modo di fuggire; il capobanda, pertanto, prende il vocabolario e leggendo varie parole a caso cerca di trovare una soluzione. Leggendo pallone, gli viene in mente di aver visto i cinque piani sotterranei della villa; nel quinto il barone ha il suo museo personale nel quale, in una stanza, sono conservati i pezzi di un pallone aerostatico con cui il barone sognava di andare al Polo Nord; così, il capobanda, assieme ai compagni, decide di fuggire di notte a bordo di questo pallone e andare in Svizzera.
NUMERO DIECI
Quando sorge il sole nessuno sa cosa sia successo durante la notte. A Orta arriva il pullman con a bordo i banchieri che, come solito, si riuniscono al palazzotto della Comunità in attesa di avere risposta alla richiesta di vedere vivo il barone Lamberto. Duilio, di ritorno dall’isola dopo il primo rifornimento, salta giù dalla barca e corre in cartoleria a ordinare trenta chili di scotch che la cartolaia non ha; così, anche i giornalisti presenti sul posto, aiutano Caronte a procurarselo, tornando dopo un’ora, con molti rotoli. Dopo aver consegnato lo scotch, Duilio torna dall’isola, con l’incarico di acquistare cinquecento metri di una catena d’acciaio; va, a tal proposito, dal ferramenta che però l’ha esaurita. Corre dal sindaco chiedendogli chi gliela possa procurare, il quale gli risponde Giuseppe di Omegna noto per trovare qualsiasi cosa nel tempo di recitare la Cavallina Storna. Per accontentare le richieste dei banditi Giuseppe trova loro molte cose utili per la costruzione della mongolfiera con la quale, durante la notte, fuggono. Accidentalmente, però, vengono catturati da un gruppo di boy scouts, che hanno lanciato dei razzi per salutare altri boy scouts su di un’altra montagna. Infatti, uno di questi razzi incendia la mongolfiera che miseramnete si abbatte sul terreno. All’alba, Anselmo, dopo essersi liberato dalla prigione in cui i banditi lo hanno confinato, urla fuori dalla finestra, al motoscafo della polizia, che il barone è morto; corre in soffitta nel tentativo di svegliare i sei ma, non riuscendoci, lascia loro un biglietto con scritto che, per causa loro, Lamberto è morto e che, pertanto, sono licenziati. Successivamente va a svegliare Ottavio per organizzare i funerali in barca.
NUMERO UNDICI
Ne passeranno dei secoli perché ci sia un altro funerale come quello del barone! Più di trenta campanili suonano fin dall’alba. La salma del barone dall’isola verrà portata a Orta, e da qui trasferita a Domodossola dove c’è la tomba di famiglia. Il corteo funebre si apre con la barca dei preti e dei chierichetti, seguono ventiquattro barche con a bordo i banchieri e i loro segretari, il barcone con il barone trasportato da Duilio, una barchetta per Ottavio che finge disperazione e una per Anselmo che, piangendo, continua a nutrire sospetti sul nipote di Lamberto. Seguono altre barche delle associazioni beneficate dal defunto e altre, cariche di fiori provenienti da ogni dove. Le persone intervenute non fanno che bisbigliare il nome del barone; ed ecco che dalla cassa si sentono dei colpi. Tutta la gente è in attesa quando, con uno schianto, il coperchio si rompe e ne esce Lamberto che ordina a Duilio di riportarlo a casa, ad Anselmo di stare attento a non perdere l’ombrello. Ottavio si butta in mare e fugge. Si passa da un momento di tristezza a un momento di gioia e i suonatori, da una musica triste, passano alla marcia trionfale dell’Aida mentre i direttori e i segretari di banca studiano il barone Lamberto per capire se si tratti veramente di lui o di un impostore.
NUMERO DODICI
Delfina è la prima a svegliarsi dopo tre notti di sonno forzato; le sembra di avere cominciato un nuovo sogno dove sente suonare la marcia trionfale dell’Aida. Poi trova il biglietto scritto da Anselmo e cerca di svegliare i suoi compagni a furia di pizzicotti e ceffoni. Di seguito propone di andare a vedere cosa sta succedendo. Arrivati al portone, vedono una folla festosa che entra, carabinieri, poliziotti e vigili urbani. Scorgendo Anselmo, i sei gli chiedono spiegazioni; il maggiordomo risponde che è tutto a posto e che non sono licenziati. Il barone entra e, applaudendo, sorride. I sei lo guardano e ricordandoselo vecchio e decrepito, si stupiscono di vederlo così ringiovanito. Delfina vuole sapere a che cosa serve pronunciare il nome del barone ininterrottamente e che cosa abbia a che fare con la sua vita e la sua morte. Arrivano anche i direttori di banca coi loro segretari e vedendo che il dito e l’orecchio sono ricresciuti, credono che il barone sia un impostore. Lamberto li lascia con una scusa e raggiunge la signorina Delfina chiedendola in moglie, ma costei rifiuta volendo capire il perché di tutta la faccenda. Lamberto, inseguito dai banchieri in soffitta, rivela a tutti la storia. Finito di raccontare, propone un brindisi; un segretario lo interrompe facendo notare al barone che nessuno sta più ripetendo il suo nome ma che lui continua a vivere e che forse non ne ha più bisogno. Lamberto, sull’onda di queste affermazioni, decide di cambiare nome: Renato perché considera la vita precedente terminata avendo ceduto il posto alla seconda iniziata sul lago. La Signora Delfina e gli altri cinque decidono di rendergli omaggio dicendo a una velocità estrema il suo nome ed ecco che il barone ringiovanisce sempre di più fino all’età di tredici anni. Il segretario teme di perdere il posto avendo fatto teorie senza averle prima verificate mentre il direttore della banca di Singapore gli dice che non potrà più essere il presidente delle ventiquattro banche perché minorenne: il suo tutore sarà, quindi, Anselmo in quanto Lamberto vuole studiare e fare parte di un circo equestre, sogno che ora potrà finalmente realizzare.
EPILOGO
I Ventiquattro direttori delle banche assumono persone che ripetano giorno e notte il loro nome, ma non ringiovaniscono come il barone. Certe cose succedono solo nelle favole e una volta sola; la fine che farà Lamberto non si sa ma una cosa è certa: non bisogna mai lasciarsi spaventare dalla parola fine.
L'internazionalità di Gianni Rodari
Peter Hilkes - Morgen e.V. - H.o.R.
Aida Obramovic - Bosnia
Aris Madlemis - Grecia
Agnieszka Spizewska - Polonia
Carlos E. Quispe Alliende - Peru'
in lingua Quechua
Dallo spazio alla Russia di Rodari
Piu' di 60 persone leggono Rodari in varie lingue!
Articolo a cura di Laura Pariani